
Chi segue la rivista da tempo sa che, almeno una volta l’anno, pubblico un articolo in cui provo a spiegare, tramite una metafora, la tipologia di racconto che cerchiamo e a fornire dei consigli che poi riguardano molto il processo creativo o, meglio, la postura con cui ci accingiamo a scrivere un racconto così breve. Riflettendo su queste tematiche, mi sono imbattuto nell’editoriale che scrissi per il primo numero, nel novembre del 2020. Lo chiudevo in questo modo: Non ho chiesto ai partecipanti una prova facile, scrivere un racconto così breve è semplice come giocare a calcio in un corridoio…I quattro elaborati, oltre ad essere dei racconti, sono anche delle esperienze, degli atti creativi che maturano in momenti difficili, a volte strazianti, e si concretizzano nella creazione letteraria. Sono racconti che si chiudono in modo fatale, un ordine chiuso avrebbe detto Cortázar, e trasmettono tutta la potenza della narrativa breve.
Tralasciando il riferimento a Cortázar che aprirebbe altre questioni, due aspetti mi sembrano ancora rilevanti a distanza di 5 anni.
Gli spazi: per giocare a calcio in un corridoio devi essere molto tecnico. Ovviamente giocare a calcio in un corridoio è impossibile ma anche in un campo regolamentare, quando gli spazi diventano stretti, il calciatore deve avere una gran tecnica per palleggiare e uscire dal blocco degli avversari che, nel nostro contesto, può essere paragonato alle mille idee che ci attraversano la mente mentre stiamo scrivendo un testo che non dovrà superare le 750 parole. Quindi, bisogna allenare la tecnica. Un buon modo per farlo è leggere autrici e autori di racconti brevi particolarmente tecnici. Come per il pallone, anche nella scrittura, quando siamo nello stretto può aiutarci la finezza e la precisione che, di norma, l’accompagna.
L’esperienza: nella realizzazione di un racconto, per quanto narrativa possa essere l’impostazione, mi sembra che sia centrale il gesto, non un gesto qualsiasi ma l’azione in grado di rendere il testo concreto, effettivo, quasi tangibile fuori dalla pagina. Nel corso di questi 5 anni, sono stati tanti i racconti pubblicati con queste caratteristiche. È come se il gesto facesse da ponte tra lo stile adottato e la storia raccontata, dando coerenza a un racconto che – limitato dal numero di parole utilizzabili – si assesta grazie a un colpo, un gesto per l’appunto, ancora meglio se geniale ma non necessariamente tale. Attenzione, però. Il gesto non è, nella scrittura di un racconto brevissimo, la forzatura che piega la storia in forma breve ma l’atto creativo che a questa forma dà forza e dignità; un’alchimia che esiste solo dentro il microracconto e che, fuori da esso, perderebbe ogni significato.
Antonio Panico