
Il merito fu di Frank Calbone di Paolo, classe 1921, e del suo fiuto. Al termine di una partita improvvisata con una palla di stracci per le strade di Belmont, si avvicinò a uno degli avversari, si tappò il naso con le dita e gli disse: «Puzzi di fogna!» prima di allontanarsi, correndo lungo Arthur Avenue.
All’epoca, Michael Rotunno di Giovanni, classe 1919, era un dodicenne dai capelli arruffati e i calzoni al ginocchio, di qualche taglia più grandi: li portava legati in vita con lo spago. I suoi genitori erano approdati a Ellis Island da Padula nel 1901, con al seguito i primi tre figli: Carmine, Giuseppina e Domenico. Sui documenti rilasciati a tutti i maschi della famiglia, accanto all’indicazione “white”, era stato aggiunto un punto interrogativo. E difatti anche Michael lo si poteva definire più olivastro che bianco, con la pelle che d’estate acquisiva una sfumatura brunastra, nonché un afrore che i bagni domenicali nella tinozza di zinco non riuscivano a cancellare. Quel giorno fece ritorno a casa triste, strascicando i piedi; quando sua madre Nennella lo vide entrare, gli chiese:
«Michè, che hai?»
Lui si guardò la punta polverosa delle scarpe e alzò le spalle.
«Dillo a mamma tua. È successo qualcosa?»
Michael alzò lo sguardo, con gli occhi già gonfi di lacrime:
«Secondo te» chiese «io puzzo?»
Nennella si prese qualche secondo prima di rispondere:
«Non è proprio puzza, è… come posso dire…» e si guardò intorno alla ricerca delle parole più adatte. Poi le si illuminò lo sguardo: «È la giovinezza. Poi passa».
Per fortuna, Nennella si sbagliava. Nonostante da quel giorno Michael prese a sfregarsi le ascelle con le scaglie di sapone di Marsiglia che lei usava per il bucato, l’odore non accennò a sparire né ad affievolirsi dopo la pubertà. E fu in un pomeriggio del settembre 1954, quando Michael aveva raggiunto i trentatré anni di età, che il signor Neil H. McElroy intercettò il suo afrore lungo E Court Street, Cincinnati.
«Signore… signore, mi scusi» disse, richiamando Michael che aveva appena terminato il turno da Kroger, dove lavorava da qualche mese come magazziniere.
«Dice a me?» fece lui.
«Sì, mi scusi se la importuno» e lo raggiunse con la mano tesa. «Sono Neil, piacere di conoscerla».
Michael, seppur titubante, ricambiò la stretta:
«Piacere, Michael»
«Volevo dirle che il suo odore è così… così… penetrante».
Michael affondò i pugni nelle tasche del soprabito e abbassò lo sguardo.
«Una fortuna averla incontrata» continuò l’altro.
McElroy gli confidò di essere alla disperata ricerca di qualcuno come lui.
«Sono il presidente della Procter & Gamble» gli disse «vorrei che lei lavorasse per me».
Sembrava un’occupazione di certo meno faticosa di quella da Kroger: si trattava semplicemente di testare cosmetici, bagnoschiuma e deodoranti.
Il lunedì successivo, 27 settembre 1954, Michael si presentò nei laboratori della società di McElroy “non lavato”, come da sue indicazioni. Entrò in un ambulatorio, dove una donna dai capelli corti e mielati e il volto severo lo stava attendendo:
«Piacere, Elizabeth Lyons»
«Michael Rotunno» disse lui.
L’agitazione e il brivido che lo percorse nell’incrociare lo sguardo della donna gli fecero imperlare la fronte e la schiena di sudore.
«Si tolga la camicia e salga su questo sgabello, per favore».
La voce della donna, a dispetto della figura austera, era flautata. Michael fece come lei gli aveva ordinato. Elizabeth gli posizionò l’inalatore sotto l’ascella sinistra e restò stupefatta. Lo sguardo le scintillò e l’intero volto parve trasfigurarsi, rivelando una bellezza nascosta. Guardò Michael negli occhi e gli sussurrò: «È una questione di chimica» prima di premere le sue labbra sottili su quelle carnose di lui.
Per Michael, quella fu una giornata indimenticabile. La donna lo invitò a casa sua, la sera stessa. Per l’occasione, si fece prestare la giacca da Frank. «Se me la impuzzolisci, me la ricompri nuova» gli disse l’amico. E lui, che se avesse avuto i soldi per comprarsela non l’avrebbe chiesta a Frank, disse sconfortato alla madre: «Come faccio?». Nennella trovò una soluzione rapida: prese dal primo cassetto del comò i pannetti di garza che da giovane usava per il mestruo e glieli cucì nella fodera, all’altezza delle ascelle. Così conciato, costretto a tenere le braccia scostate dal busto per lo spessore degli assorbenti della madre, si presentò alle otto in punto da Elizabeth. Lei lo accolse in vestaglia; sorridendo maliziosa, mimò con la mano una pistola e gli disse: «Mani in alto!».