
C’è un motivo per cui il signor Carlo non esce a tarda notte. E non ha nulla a che fare con il fatto che la sua memoria non sia più quella d’un tempo o che i fari delle auto in avvicinamento gli diano fastidio. Semplicemente, si addormenta prima che faccia tardi.
Appena uscito dal liceo, quando faceva il turno di notte in un ristorante, stare sveglio tutta la notte era solo una delle tante scelte possibili per ogni serata. Con l’avanzare dell’età e l’assunzione di maggiori responsabilità, di rado rimaneva sveglio senza motivo ma di tanto in tanto succedeva nonostante la moglie ne fosse infastidita.
A quel tempo dormire sembrava un’opzione praticabile. Man mano che il tempo passava, i fattori scelta e opzione diventavano irrilevanti. Perché una volta che era stanco, davvero stanco, niente poteva tenerlo sveglio. Diceva sempre: quando sono stanco potrei dormire su un letto di chiodi nel bel mezzo della Piazza del Duomo.
Dopo diversi decenni, il sonno era diventato un amico. Un amico obbligatorio. Ecco perché era strano che fosse in giro negli spazi comuni del condominio alle due del mattino. Non c’era nessun altro nei corridoi o nei parcheggi e non c’era traffico per strada. Era una piacevole notte d’estate. Nonostante avesse iniziato la passeggiata torvo in viso per l’impossibilità di dormire, si rilassò su una delle panchine vicino al parco giochi cercando di ricordare il nome della strada. In contrasto con tutti i cambiamenti dei suoi settant’anni sulla terra, il cielo notturno era come lo aveva ammirato da bambino, anche se lo ricordava più suggestivo lontano dalle luci artificiali.
Arrivò il gattino, un po’ trasandato ma baldanzoso. Il signor Carlo non si mosse quando si avvicinò al piede destro e iniziò a strofinarsi contro la caviglia. Al vecchio non dispiacevano i gatti ma non ne aveva mai posseduto uno, anche se la moglie glielo aveva suggerito di recente. In modo del tutto inusuale per la vita che aveva condotto per tanti anni, se lo mise in grembo e iniziò ad accarezzarlo, provocando immediatamente le fusa. Per un istante pensò di dover discutere sulle ragioni per portarlo o meno in casa ma scelse di rinunciare a questo dibattito interno e decise di portarlo con sé, lontano dai cani e dalle volpi. All’indomani avrebbe affisso dei volantini scritti a mano nelle lavanderie intorno agli edifici per cercare il proprietario.
Tornato nell’appartamento, posò il gattino in cucina, attento a non fare troppo rumore aprì una scatoletta di tonno e ne mise metà in un piatto sul pavimento, insieme a una ciotola d’acqua. Lasciò il gattino a mangiare e si rimise a letto. Sua moglie, mezza sveglia, si girò e gli diede un bacio sulla guancia: ‘’grazie per aver salvato il gattino’’, disse. ‘’Sì, Giuditta.’’, rispose il signor Carlo, poi chiuse gli occhi e rifletté per un momento: il gattino non aveva miagolato. Le sue dita puzzavano di tonno? Come faceva a sapere del gatto? Si era abituato all’Alzheimer della moglie, la scarsa memoria, le domande a caso e i commenti eccentrici. Si annusò ancora una volta le dita e decise di lasciar perdere.