
Intervista a cura di Antonio Panico (A.P), direttore della rivista: il libro uscirà in libreria il 17 maggio 2024 ed è già acquistabile online.
A.P: ‘’Ogni cosa era cambiata con lo scoppio della guerra fra mondi e l’invasione di quegli alieni che non avevano nomi’’ dice Bianca Anatolia nel secondo racconto del tuo libro. In questo passaggio introduci la spaccatura intorno a cui ruotano e si sviluppano le tredici vicende de L’evocatore e altri racconti, e lo fai facendo parlare quella che potremmo definire ‘’La resistenza’’. Una ‘’resistenza’’ quasi sempre disperata, in cui i personaggi sembrano portare sulle spalle tutto il fardello di utopie e azioni che hanno inesorabilmente fallito. Ho l’impressione che, nonostante la matrice fantastica (e distopica), il cuore del tuo libro sia crudamente reale e anche storica e che tu abbia avuto bisogno degli alieni per raccontare ciò che hanno già fatto gli esseri umani. Poi c’è la tecnica, l’unica cosa che è progredita nell’universo del tuo libro. Raccontaci qualcosa in merito, come dialogano queste due dimensioni nel tuo lavoro, quella reale e quella fantastica, e su cosa vorresti ammonire il lettore disegnando un futuro di aeromobili, navicelle ma nessuna libertà.
E.D.T: Credo che la tua impressione sia esatta: in questo libro mi sono dedicato all’esercizio di immaginare il futuro come un espediente per mettere in evidenza e cercare di comprendere alcune contraddizioni e derive del nostro presente. Pensiamo all’eccessiva scorporizzazione delle nostre vite, alla proliferazione dell’intelligenza artificiale, o ancora all’iperconnennettività che genera maggiore isolamento ed emarginazione invece che aggregazione e inclusione: personalmente trovo agghiacciante quanto poco ci si interroghi su questi fenomeni che abbiamo ormai interiorizzato come parti integranti delle nostre vite quotidiane. Di tutto questo ciò che più mi interessa non è legato agli aspetti propriamente tecnici quanto alle implicazioni filosofiche-letterarie: in questi racconti l’epicentro della narrazione è costituito dalla dimensione interiore dei personaggi. Ciò che conta non è infatti lo scenario in sé, né tantomeno l’azione/avventura, quanto il modo in cui i personaggi pensano e sognano all’interno dello spazio e del tempo in cui sono immersi: tutti ondivaghi e forsennatamente contraddittori, ognuno di loro deve affrontare i demoni della solitudine e della disumanità, e ogni forma di resistenza è destinata a fallire perché è combattuta su un piano unicamente individuale. L’idea che ognuno di noi possa farcela da solo è una delle più dannose favole che il sistema ci racconta per continuare a dividere e imperare.
A.P: ‘’Ci riunivamo tutti, dicevo, lì al Club 66, dal tardo pomeriggio all’alba del giorno dopo, a scambiarci le nostre visioni di mondo e a condividere il resoconto delle nostre esistenze da cani imbellettate dal sogno europeo dell’affermazione di sé e dei propri talenti’’. Questo segmento del racconto ‘’L’utopia del Lupo’’, mi sembra emblematico del tuo rapporto con la letteratura di Bolaño; un elemento che si ripete in varie parti del libro. Mi è piaciuto ( e mi ha fatto divertire) questo tuo modo di rivedere i personaggi tipici dell’autore cileno, non intesi solo come soggetti ma anche come ‘’ruoli’’ che sono narrativi e al contempo sociali, pieni di sfumature e dettagli poetici, ideologici e personali. Ti chiedo da dove viene questa scelta: prendere personaggi bolañiani e lanciarli nell’universo distopico del tuo libro. Leggendo e rileggendo i tuoi racconti, mi sembra di capire che dopo la Guerra fra Mondi questi ‘’ cani ’’ siano gli unici rimasti in grado di raccontare, fornire ancora una testimonianza di cos’era il mondo prima.
E.D.T: La mia impressione è che su Roberto Bolaño si sia detto molto eppure ci sia ancora tanto da scoprire. Penso in particolare alla dimensione onirica nei suoi testi (per la quale Freud e Jung ci avrebbero perso la testa, ne sono sicuro) oppure al Bolaño più politico (nel senso platonico, e dunque più alto, del termine) di “Notturno cileno” o di “Amuleto”. Faccio fatica a credere che oggi qualcuno possa misurarsi con la scrittura senza confrontarsi con un autore come Roberto Bolaño che ha cambiato per sempre il corso della letteratura. Dovremmo avere la sincerità di riconoscere che noi che viviamo il presente non siamo altro che degli epigoni, e in quanto tali non possiamo non dialogare con i grandi del passato. Quello che più apprezzo dei personaggi di Bolaño è che sono tutti, dal primo all’ultimo, compresi quelli che a prima vista ci possono sembrare del tutto improbabili, perfettamente credibili e reali nella loro umanità carica di difetti, meschinità, genio, fantasia, amore. Ognuno di noi lo può sperimentare in maniera quasi scientifica: basta sedersi al tavolo di un qualsiasi bar a vedere scorrere l’umanità che ci circonda per ritrovarsi di colpo dentro una storia bolañiana. Mentre scrivevo dell’universo distopico di questo libro ho sentito la necessità di dare vita a personaggi portatori di questa stessa profonda umanità perché altrimenti ciò che volevo esprimere non sarebbe stato credibile. Come hai giustamente sottolineato tu stesso, un’altra caratteristica fondamentale dei soggetti di Bolaño che ho cercato di trasmettere anche ai miei personaggi è la generosità che hanno nel raccontarsi e nel prestare attenzione e ascolto al prossimo. Io da questo punto di vista sono molto d’accordo con quanto ha scritto Simone Weil riguardo all’attenzione come forma più pura e rara della generosità.
A.P: Sarà una questione di gusto personale, ma delle varie tecniche che usi per narrare l’abisso in cui è sprofondato il mondo, mi affascina molto lo sviluppo delle città. ‘’ Doveva essere l’ora del tramonto, ma era impossibile affermarlo con certezza: gli alti edifici che avvolgevano come tentacoli quella parte della città avevano nascosto il sole per tutto il pomeriggio. Accadeva di frequente da quando le zone marginali delle metropoli avevano cominciato a svilupparsi in verticale.’’ In questo frammento, per esempio, delinei uno scenario di cupezza architettonica e sociale. E mi sembra che sia sempre nelle metropoli che il governo dei Senza Nome dispieghi i suoi effetti più lanceranti con un’architettura di stratificazioni improbabili e disumane. Raccontaci qualcosa in merito. Cosa ti ha ispirato? Le periferie dell’universo dei Senza Nome somigliano molto a quelle della contemporaneità, solo che aumentano a dismisura in un processo in cui l’intera umanità diventa una sorta di ‘’terzo mondo’’.
E.D.T: In questo caso non c’è voluta una grande immaginazione. Credo che le città che attraversiamo ogni giorno, e in particolare le grandi metropoli, rechino già in sé il seme della forma che assumeranno fra millenni. La gestione dello spazio urbano è senz’altro uno dei dispositivi più efficaci per controllare le masse. Azioni come cementificare, segregare, trasformare i centri storici in centri commerciali ad uso esclusivo del turismo di massa, ridurre al minimo lo spazio vitale dei soggetti, confinare la cultura e l’arte in spazi ed eventi ristretti e predeterminati: fa tutto parte di una forma di amministrazione che mira ai soliti scopi di offuscare il pensiero e di concentrare la ricchezza e il benessere nelle mani di pochi. Il quartiere di Alphaville o la Zona morta che ho immaginato nei miei racconti non sono altro che lo stadio ultimo di processi e dimaniche già in atto e che a mio avviso sono purtroppo ormai da considerarsi irreversibili.
A.P: ‘’Mentre bevevo un caffellatte in cucina ho riflettuto sulla straordinarietà della situazione: la notizia dell’invasione aliena risale alla metà di agosto, eppure sembrano passati millenni; in meno di un mese la vita su Terra è stata stravolta: accadimenti come un’invasione di alieni, una guerra fra mondi, la quarta glaciazione, che fino a un mese prima sembravano relegati ai libri di fantascienza o a quel tipo di giornalismo apocalittico e cospirazionista, sono entrati a far parte della nostra quotidianità.’’. In questo frammento, Adele, uno dei personaggi del tuo libro, tramite l’espediente del Diario accelera il racconto dei fatti dalla prospettiva di una periferia, un paesino sperduto tra l’Italia e la Slovenia. È settembre e mentre il resto del mondo è sotto attacco, nelle sale d’attesa del mondo c’è chi ancora culla il sogno di una vita normale, pacifica. In questi territori, però, dove più tardi arrivano politica e tecnologia, è la natura a manifestarsi con il suo aspetto più funesto e premonitore. Come penultima domanda vorrei chiederti proprio due parole su questo, distopia politica ed ecologica: è come se i Senza Nome trovassero Terra alla fine di un corso e approfittassero definitivamente dell’ultimo stadio dell’antropocene.
EDT: So che non dovrei fare spoiler ma con questa tua domanda me l’hai servito su un piatto d’argento: in uno dei racconti che compongono il libro ad un certo punto viene fuori questa possibilità che i Senza Nome in realtà non siano altro che esseri umani che secoli prima hanno scoperto il modo di raggiungere mondi lontani, facendo in questo modo un balzo in avanti nella scala evolutiva. In pratica, siamo noi gli antagonisti brutti, sporchi e cattivi di noi stessi. Ora, ciò che è importante non è la veridicità di questa idea quanto la potenza della metafora: trovo che sia più che mai urgente comprendere che, quando parliamo di ecologia, di sostenibilità, di guerra e pace, ciò contro cui dobbiamo combattere non è altro che noi stessi, ovvero la natura umana che è predatoria, spietata, distruttiva.
A.P: Ancora sul lascito della letteratura di Bolaño e come questa ti abbia suggestionato. Il sesso, nella resistenza disperata dei tuoi protagonisti, ha un ruolo cruciale mentre i Senza Nome, pur esercitando un potere arbitrario e schiavizzante, rifuggono dal contatto intimo con gli esseri umani e si tengono lontano da una contaminazione ritenuta deleteria per la propria egemonia. Nel frattempo, parafrasando l’autore cileno, mi sembra che scopare sia l’unica cosa che desiderano coloro i quali stanno per morire o che questa sia una delle poche vie di fuga, per quanto illusoria, che uomini e donne trovano per combattere il presente e un futuro che ha smesso di essere tale. Raccontaci un po’ di questa dinamica nell’economia del tuo libro.
EDT: In un mondo in cui le persone vivono costantemente sorvegliate e isolate, il sesso e l’intimità assumono una valenza emancipatoria. Ma c’è anche chi, nei miei racconti, desidera il sesso per i soliti motivi che conosciamo e sperimentiamo comunemente: amore, vendetta, narcisismo, puro senso del piacere, scoperta di sé e degli altri. In sostanza, anche di fronte alle sette trombe dell’apocalisse, restiamo delle macchine desideranti, per dirla con Deleuze, e io trovo che, in fin dei conti, per quanto possa sembrare una via di fuga illusoria, ci sia qualcosa di fortesemente rivoluzionario nel desiderio quando rifugge dall’omologazione e dall’uniformità.